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Sui disabili si può fare di più e meglio, ma sempre all’insegna di inclusività e famiglie

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Qualche giorno fa, un candidato alle elezioni europee ha rilanciato l’idea delle classi differenziali per le persone affette da disabilità. Un intervento veramente fuori luogo e fuori tempo che ripropone pratiche superate ormai da più di 50 anni, pratiche che hanno una unica conseguenza: la ghettizzazione del disabile.

Oggi la parola d’ordine deve essere una sola: inclusione! L’inclusione permette ai disabili di crescere insieme agli altri, è l’unica strada che può portare all’autonomia ed alla indipendenza. E’ solo rendendo il disabile più autonomo ed indipendente, compatibilmente con i suoi problemi ovviamente, che possiamo assicurargli una vita la più soddisfacente possibile. In questo senso vanno anche le istituzioni sovranazionali, come dimostrano le recenti istituzioni della Carta europea della disabilità e del contrassegno di parcheggio europeo. 

Ma non basta.

Dobbiamo aiutare le famiglie con disabili soprattutto nella prima fase della loro nuova esperienza: nessuno di noi è pronto da subito a prendersi carico di un disabile. Ci vuole tempo ed aiuto da parte di persone competenti, anche perché ognuno è un caso particolare con bisogni particolari. E’ necessario che Asl e assessorato ai servizi sociali, insieme alle associazioni del volontariato, guidino le famiglie nei percorsi sociosanitari di assistenza alle persone disabili. Soprattutto nei primi momenti in cui si prende coscienza della disabilità di un proprio caro.

Bisogna che le famiglie non siano preda dello sconforto, della paura, della disperazione. Devono essere aiutate da subito nella ricerca delle soluzioni e delle persone giuste. 

Altro punto che ritengo elemento di civiltà: quello che viene definito il “dopo di noi”. La preoccupazione è legittima: chi si prenderà cura delle persone più deboli della nostra famiglia che dipendevano da noi quando noi non ci saremo più? Anche in questo caso programmare il futuro, dare alle famiglie la certezza che anche “dopo di loro” i disabili che loro hanno accudito con tanto amore e passione riceveranno lo stesso trattamento, ecco, lo considero un elemento di civiltà che un’amministrazione comunale non può dimenticare.

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Ma non basta.

Dobbiamo aiutare le famiglie con disabili soprattutto nella prima fase della loro nuova esperienza: nessuno di noi è pronto da subito a prendersi carico di un disabile. Ci vuole tempo ed aiuto da parte di persone competenti, anche perché ognuno è un caso particolare con bisogni particolari. E’ necessario che Asl e assessorato ai servizi sociali, insieme alle associazioni del volontariato, guidino le famiglie nei percorsi sociosanitari di assistenza alle persone disabili. Soprattutto nei primi momenti in cui si prende coscienza della disabilità di un proprio caro.

Bisogna che le famiglie non siano preda dello sconforto, della paura, della disperazione. Devono essere aiutate da subito nella ricerca delle soluzioni e delle persone giuste. 

Altro punto che ritengo elemento di civiltà: quello che viene definito il “dopo di noi”. La preoccupazione è legittima: chi si prenderà cura delle persone più deboli della nostra famiglia che dipendevano da noi quando noi non ci saremo più? Anche in questo caso programmare il futuro, dare alle famiglie la certezza che anche “dopo di loro” i disabili che loro hanno accudito con tanto amore e passione riceveranno lo stesso trattamento, ecco, lo considero un elemento di civiltà che un’amministrazione comunale non può dimenticare.

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